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libro terzo 243

cidente venisse per lo quale il vostro e mio intendimento si sturbasse». Dissero i mercatanti: «Signore, comandate alla giovane, poi che nostra è, che con noi ne venga, che noi non l’avremo prima sopra la nostra nave, che essendo il tempo ben disposto, sí come ci pare che sia, che noi prenderemo nostro cammino e sgombreremo i vostri porti, perché per noi non fa il dimorare».

Voltassi allora il re a Biancofiore, e disse: «Bella giovane, a me ricorda che quando mi recasti nella festa della mia nativitá il velenato paone, io giurai per lo sommo Iddio e per l’anima di mio padre, e promisi al paone che in brieve tempo io ti mariterei a uno de’ grandi baroni del mio regno: e però, volendo il mio voto osservare, t’ho maritata, e il tuo marito si chiama Sardano, signore della antichissima Cartagine, a noi carissimo amico e parente. Egli con grandissima festa t’aspetta, sí come i presenti gentiluomini da sua parte a noi per te venuti ne dicono: però rallegrati. E poi che piacere è di lui, a cui oramai sarai cara sposa, con costoro n’andrai, e noi sempre per padre terrai, la ove bisogno ti fosse tale paternitá». Le cui parole come Biancofiore udí, tutta si cambiò nel viso e disse: «Oimè, dolce signore, e come m’avete voi maritata, che io nel gran pericolo in che fui, quando ingiustamente al foco fui condannata, per paura della morte, a Diana votai eterna virginitá, se dallo ingiusto pericolo mi campava?». «Come disse il re, «richiede la tua bellezza eterna virginitá, la quale a’ venerei atti è tutta disposta? Giunone, dea de’ santi matrimonii, ti rimetterá questo voto, poi che il suo numero accresci.» «Oimè!» disse Biancofiore, «io dubito che la vendicatrice dea giustamente meco non si crucci». «Non fará» disse il re, «e posto che ciò avvenisse, questo è fatto omai, non può indietro tornare. Tu dovevi dirlo avanti se cosí avevi promesso. Imeneo lieto e inghirlandato tenga nella vostra camera le sante facelline.» E questo detto, comandò che Glorizia sua maestra le fosse per servigiale donata, sí come della misera Giulia era stata, e che ella fosse da’ mercatanti tacitamente menata via, e i tesori riposti.