miseria». E, questo in se medesimo diliberato, volontario esilio, seguendo il consiglio del suo amico, prese occultamente.
Quando Apollo ebbe i suoi raggi nascosi, e l’ottava spera fu d’infiniti lumi ripiena, Fileno con sollecito passo piglia la sconsolata fuga. Egli nella dubbiosa mente, uscito di Marmorina, non sa esaminare qual cammino sia piú sicuro alla sua salute; ma, del tutto abbandonato a’ fati, piangendo pone le redini sopra il collo del portante cavallo, e piangendo abbandona le mura di Marmorina, con gli occhi rimirando quella infino che lecito gli è. Ma poi che l’andante cavallo lui carico di pensieri ebbe tanto avanti traportato, che piú non gli fu lecito di vedere la sua cittá, egli con piú lagrime incominciò ad intendere al suo cammino. E primieramente veduto l’uno e l’altro lito di Bacchiglione, pervenne alle mura costrutte per adietro dall’antico Antenore, e in quelle vide il loco ove il vecchio corpo con giusto epitafio si riposava. Ma di quindi passando avanti, in poche ore pervenne alle sedie del giá detto Antenore, poste nelle salate onde, nell’ultimo seno del mare Adriano: e in quel loco non sicuro, salito in picciol legno ricercò la terra. E pervenuto all’antichissima cittá di Ravenna, su per lo Po con le dorate arene se ne venne alla cittá posta per adietro da Manto ne’ solinghi paduli. Ma quivi sentendosi piú vicino a quelli che egli piú fuggiva, dimorò poco, e salito su pe’ colli del monte Appennino, e di quelli declinando, scese al piano, pigliando il cammino verso le montagne, tra le quali il Mugnone rubesto discende. E quivi pervenuto, vide l’antico monte onde Dardano e Siculo primamente da Italo loro fratello si partirono pellegrinando; e poco avanti da sé vide le ceneri rimase d’Attila flagello di Dio, dopo lo scellerato scempio fatto de’ pochi nobili cittadini della cittá edificata sopra le reliquie del valoroso consolo Fiorino, quivi dagli aguati di Catelina miserabilmente ucciso. Alle quali avuta compassione, si partí, e senza tenere diritto cammino errando pervenne a Chiusi, ove giá Porsenna, secondo che gli fu detto, aveva il suo regno con forza costretto ad ubbidir sé. Né troppo lungamente andò avanti ch’egli vide