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libro terzo 213

quel velo, vilissima cosa, non fosse a lui donato dalle mie mani ma certo il core nol consentí mai, ma cosí costretta dalla tua madre mi convenne fare. Per lo quale egli, forse pigliando ferma speranza di pervenire al suo intendimento per tale segnale, piú volte con gli occhi e con parole mi tentò di trarmi ad amarlo, la qual cosa credo impossibile sarebbe agl’iddii, né mai da me piú avanti poté avere. Né è però da credere che in un velo o in altro gioiello si richiuda perfetto amore: solamente il core serva quello, e io, che, piú che altra giovane, il sento per te, posso con vere parole parlarne. E che io niuna persona ami, se non solo te, ne chiamo testimonii gl’iddii, a’ quali niuna cosa si nasconde: e però ti priego che il velo, non volonterosamente donato, non ti porga nel core quella credenza che da prendere non è. Niuna persona è nel mondo amata da me se non Florio. Lascia ogni malinconia presa per questo, se la mia vita t’è cara, e spera che ancora fermamente conoscerai quello che io ora ti prometto, e la tua vita con la mia insieme caramente riguarda: a luogo e a tempo gl’iddii rimuteranno consiglio, forse concedendoci migliore vita che noi da noi non eleggeremmo. Rifiuta i non dovuti ozii, e seguita i leali diletti; e se tu mi porterai tanto nell’animo quanto io fo te, tu conoscerai me non essere meno affannata da’ pensieri che tu sia. E caramente ti priego che con sí fatte lettere tu non solleciti piú l’anima mia, disposta a cercare nuovo secolo: che posto che tu con forte animo il mio coltello tenga nella mano, a me certo laccio non farebbe sostenere di leggieri la seconda, solo che in quella cosí come in questa mi parlassi. Biancofiore non fu mai se non tua, e tua sará sempre. Adoperino i fati secondo che ella ama, e senza fallo contento viverai.»

Biancofiore piegò la scritta pistola, piena di non poco dolore, e posta in su il legame la distesa cera, avendo la bocca per troppi sospiri asciutta, con le amare lagrime bagnò la cara gemma, e, suggellata quella, con turbato aspetto uscí dalla camera, a sé chiamando il servo, che giá, per troppa lunga dimoranza che far gli pareva, si cominciava a turbare. Al quale