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libro terzo 211

possibile fosse te aver potuto vedere e udire le vere, le quali se vedute avessi, forse piú temperatamente avresti scritto, quando dicesti me non essere costante a sostenere per te un affanno né in amarti. Ma però che tutto questo spero con l’aiuto degl’iddii ancora doversi manifestare a te con apertissimo segno, piú non mi stendo a scriverti, essendo non meno da piú grave dolore costretta, sentendo te credere esser da me per Fileno abbandonato, sí come la tua lettera mostra, la quale quando vidi, assalita da non picciola doglia, per poco non morii. Oimè, quanto m’è la fortuna avversa! Tu vai cercando di mostrarmi cagioni per le quali io debba aver te per Fileno lasciato, e quelle tu medesimo annulli: e veramente da annullare sono! E se da te quel senno non s’è partito che aver suoli, dovresti pensare che io non sono del senno uscita, sí che io non conosca manifestamente te di nobiltá avanzare Fileno, semplice cavaliere della tua corte, e me picciolissima serva di te e del tuo padre, a cui tu rimproveri, faccendoti beffe di me, me esser discesa degli antichi imperadori romani, i quali gl’iddii guardino che a sí poco torni la loro potenza, che ad essere serva, sí com’io sono, divenga la loro sementa. Né ancora a me si occulta la tua virtú, né la bellezza piena di graziosa piacevolezza, a me cagione d’intollerabile tormento: per le quali cose saresti piú degno amante dell’alta Citerea che di me. E certo, ben ch’io ti conosca nobilissimo, virtuoso e pieno di bellezza piú che alcun altro, e me senza alcuna di queste cose, non sono però invilita sí ch’io non abbia ardire di perfettamente amarti, come è, o che mi si convenga o no. Ora, dunque, se tutte queste cose sono da me conosciute, com’è è credibile che te per Fileno potessi dimenticare? E non ti ritenesti di dire che io, femina di fragilissima natura, niuna avversitá per amor di te sostenere non aveva potuto, volendo quasi dire che per alleggiare i sospiri, che per te, a me lontano, sento insieme con molte pene, cercai di voler prossimano amadore, il quale piti spesso veggendo, io mi rallegrassi. Oimè, che falsa opinione porti, se questo credi! Ma certo piú per tentarmi, che per