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libro terzo 191

misura la cominciò ad amare, e in diversi atti s’ingegnava di piacerle, avvegna che Biancofiore di ciò niente si curava, ma, molto saviamente portandosi, mostrava che queste cose ella non conosceva. L’amore che Fileno portava a Biancofiore non era al re né alla reina occulto; i quali, acciò che il core di Biancofiore di nuovo piacere s’accendesse, e Florio fosse da lei dimenticato, contenti di tale innamoramento, piú volte nella loro presenza chiamavano Fileno, a cui facevano venire davanti Biancofiore, e con lei tal volta sollazzevoli parole usare; ma questo era niente, ché Biancofiore di lui si curava poco, anzi sospirando vergognosa bassava la testa come davanti le veniva, senza giá mai alzarla per rimirare lui, se ciò non fosse stato alcuna fiata in piacere del re e della reina, li quali ella conosceva essere di tale amore allegri, avvegna che Fileno pensasse che que’ sospiri, i quali dal core di Bianccifiore movevano, uscissero fuori essendone egli cagione. Mostrando Biancofiore per conforto della reina d’amare il giovane cavaliere, avvenne che dovendosi ne’ presenti giorni celebrare una grandissima solennitá ad onore di Marte, iddio delle battaglie, e nella detta solennitá si costumava un gioco nel quale la forza e l’ingegno de’ cavalieri del paese tutto si conosceva, Fileno propose di volere in quel gioco per amore di Biancofiore mostrare la sua virtú, ma ciò, se alcuna gioia da Biancofiore non avesse la quale in quel luogo per sopransegna portasse, non volea fare. Ond’egli un giorno si mosse, vedendo Biancofiore stare con la reina, e con dubbioso viso, davanti alla reina, cosí a Biancofiore cominciò a parlare: «O graziosa giovane, la cui bellezza Giove credo che nel suo seno formasse, e a cui io per volere di quel signore, alla forza del cui arco non poterono resistere gl’iddii, sono umilissimo e fedel servidore, se li miei prieghi meritano d’essere dalla tua benignitá uditi, con quello effetto che piú graziosamente gli ti presenti gli mando fuori, e priegoti che, con ciò sia cosa che la festa del nostro iddio Marte, le cui vestigie io come giovane cavaliere seguito, si debba di qui a pochi giorni celebrare, e in quella il gioco de’ potenti giovani, sí come tu sai,