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170 | il filocolo |
il presente anello non soffersero che questo fosse; ma questi mostrandomi con turbato colore lo stato di lei, e gl’iddii ne’ miei sonni manifestandolomi, mi fecero pronto alla salute d’essa, e, porgendomi le loro forze, con vittoria la vita di lei e la mia insiememente campai, e poi ricevetti debita coronazione di tale battaglia, avendo giá rimessa la semplice colombetta intra gli usati artigli de’ dispietati nibbi: di che ora ricordandomene, e parendomi aver mal fatto, mi doglio. E piú doglie mi recano le vere imaginazioni che per lo capo mi vanno, che mi par vedere un’altra volta avvelenare il prezioso uccello, e condannare la mia Biancofiore a torto, ed essere il foco maggiore che mai acceso. E quasi mi pare intorno al core avere uno amarissimo fiume delle sue lagrime, le quali tutte mi gridano mercé. Io non so che mi fare. Io amo, e amore di varie sollecitudini riempie il mio petto, le quali continuamente ogni riposo, ogni diletto e ogni festa mi levano, e leveranno sempre, infino a quell’ora che io nelle mie braccia riceverò Biancofiore per mia, in modo che mai della sua vita io non possa dubitare. Io non vi posso con intera favella esprimere piú del mio dolore, il quale credo che piú vi si manifesti nel mio viso, che nel mio parlare non è fatto. Gl’iddii mi concedano tosto quel conforto che io disidero, però che se troppo penasse a venire, cosí sento la mia vita consumarsi nell’amorosa fiamma come quella del misero Meleagro nel fatato tizzone si consumò. E questo detto, perdendo egli ogni potere, sopra il ricco letto subitamente ricadde supino, tornato nel viso quale è la secca terra o la scolorita cenere.
Non poté il duca, che con dolente animo ascoltava quello che non gli era mica occulto, vedendo Florio supino ricadere sopra il suo letto, ritenere le lagrime con fortezza d’animo; ma pietosamente piangendo, si recò l’innamorato giovane, a cui in vista niuno sentimento era rimaso, nelle sue braccia; e rivocati con preziosi liquori gli smarriti spiriti ne’ loro luoghi, cosí gl’incominciò a dire: «Valoroso giovane, assai compassione porto alla tua miserabile vita, tanto che piú non posso,