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166 il filocolo

giardino, d’erbe e di fiori e di frutti copioso, per lo quale andando con lento passo assai lontano a’ suoi compagni, vide tra molti pruni un bianchissimo fiore e bello, il quale intra le folte spine sua bellezza serbava. Al quale rimirare Florio ristette, e pareagli che ’l fiore in niuna maniera potesse piú crescere in su, senza essere dalle circostanti spine pertugiato e guasto, né similmente dilatarsi, o divenir maggiore. Onde egli cominciò a pensare, e tra se medesimo a ragionare tacitamente cosi: «Oimè, chi e qual cosa mi potrebbe piú apertamente manifestare la vita e lo stato della mia Biancofiore che fa questo bianco fiore? Io veggio ciascuna punta delle circostanti spine rivolta al fresco fiore, e quasi ognuna è presta a guastare la sua bellezza. Queste punte sono le insidie poste dal mio padre e dalla mia madre alla innocente vita della mia Biancofiore, le quali lei alquanto muovere non lasciano senza amara puntura. Deh, misera la vita mia, or di che mi sono io, nel passato tempo, sperando, rallegrato tanto, che le infinite avversitá apparecchiate per me a Biancofiore mi siano uscite di mente? Oimè, perché dopo la disiderata diliberazione ti lasciai al mio padre?». Con queste e con altre parole malinconico molto si ritornò alla sua camera, nella quale tutto solo si rinchiuse. E quivi gittatosi sopra il suo letto, cominciò a piangere con queste voci: «O bellissima giovane, sono ancora cessate le malvage insidie poste alla tua vita da’ miei parenti? Morto è l’iniquo siniscalco, a te crudelissimo nemico: certo cessate dovriano essere. Io non credo che per la morte di colui la malizia del re sia menomata, e la mia fortuna ria penso che ti faccia spesso noia: ond’io credo che piú che mai alla tua vita ne siano poste. Oimè, misero, or dove ti lasciai? Io lasciai la paurosa pecorella intra li rapaci lupi. Deh, ove lasciai io la mia Biancofiore? Tra coloro che sono affamati della sua vita, e disiderano con inestinguibile sete di bere il suo innocente sangue. Certo il comandamento della santa dea ne fu cagione, il quale volesse il sommo Giove che io non avessi osservato. Oimè, Biancofiore, in che mala ora fummo nati! Tu per me se’ con continua sollecitudine cercata d’of-