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libro secondo | 137 |
e poi al vento gittata». E questo detto, comandò che al foco senza indugio menata fosse.
Biancofiore aveva perduto il naturale colore e per la paura e per lo digiuno; e il suo bel viso era divenuto palido e ismorto come secca terra; ma ancora il nero vestimento le dava alle non guaste bellezze gran vista. E udendo ella il miserabile giudicio contro a lei dato senza ragione, forte cominciò a piangere, e a dire tra se medesima: «O me misera, or conviemmi egli morire? Or che ho io fatto?». E se non fosse che le sue dilicate mani erano con istretto legame congiunte, ella s’avrebbe i suoi biondi capelli dilaniati e guasti, e ’l bel viso senza alcuna pietá lacerato con crudeli unghie, stracciando i neri drappi significanti la futura morte, e avrebbe riempito l’aere di dolorose e alte grida; ma vedendosi impedita, e circondata da innumerabile quantitá di popolo, costretta da savio proponimento, raffrenò le sue voci, e senza alcun romore fra sé tacitamente rincominciò a dire: «Ahi, sfortunato giorno e noiosa ora del mio nascimento, maladetti siate voi! Oimè, morte, quanto mi saresti tu stata piú graziosa nelle braccia di Florio, sí com’io mi credetti giá che tu mi venissi! Deh, ora mi fossi tu venuta almeno in quell’ora ch’io chiamata fui a portare il male avventuroso uccello per me, perciò che allora sarei morta onestamente e senza vergogna d’alcuna infamia. O anime del mio misero padre e de’ suoi compagni e della mia dolente madre, i quali per me acerba morte sosteneste, rallegratevi, che io, stata di sí crudel cosa cagione, sono punita degnamente. Niuna altra cosa credo che noccia a me misera, se non questa insieme con l’aver portata troppa lealtá e onore a colui che ora mi fa morire. O crudelissimo re, perché mi rechi a sí vile fine? Che t’ho fatto io? Certo niuna colpa ho commessa, se non ch’io ho troppo amore portato al tuo figliuolo. Deh, or che mi faresti tu, o piú crudele che Pisistrato, s’io l’avessi odiato? Quale tormento m’avresti tu trovato maggiore? Io, misera, mai nol ti dimandai, né lui pregai ch’egli di me s’innamorasse. Se gl’iddii concedettero al mio viso tanto di piacevolezza che ’l suo gentile