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102 | il filocolo |
lasciato davanti da me il pavone, io, faccendone prendere alcuna estremitá, e gittatola a terra, so che alcun cane la ricoglierá, la quale mangiando subitamente morrá. E quinci sembrerá a tutti quegli che nella sala saranno, che Biancofiore m’abbia voluto avvelenare, e imagineranno che ella abbia voluto far questo, perché io la doveva mandare a Montorio, e non ve l’ho mandata. E io, mostrandomi allora di questo forte turbato, so che, secondo il giudizio di qualunque vi sará, ella sará giudicata a morte: la qual cosa io comanderò che senza indugio sia messa ad esecuzione, e cosí saremo fuori del dubbio nel quale io al presente dimoro». Poi che il re ebbe cosí detto, egli si tacque aspettando la risposta del siniscalea; la quale fu in questo tenore:
«Signor mio, senza dubbio conosco la gran fede, la quale in me continuamente avuta avete, la quale sempre con quella debita lealtá che buon servidore deve a naturale signore servare, ho guardata e guarderò mentre che in vita dimorerò. E l’avviso, il quale fatto avete, a niuno, in cui conoscimento fosse, potrebbe altro che piacere: ond’io il lodo, e dicovi che saviamente preveduto avete. Con ciò sia cosa che non solamente il giudicare le preterite cose e le presenti con diritto stile è da riputar sapienza, quanto le future con perspicace intendimento riguardare. E senza dubbio, se molto durasse la vita di Biancofiore, quello che narrato avete, n’avverrebbe; ma inanzi mandando cautamente le predette cose, credo sí fare che il vostro intendimento sareiá fornito senza che alcuno mai niente ne senta». E questo detto, senza piú parlare, partirono il maladetto consiglio.
Oimè, misera fortuna! O Biancofiore, or dove se’ tu ora? perché non ti fu lecito d’udire queste parole, come quelle della partenza del tuo Florio? Tu forse stai a riguardar que’ luoghi ove tu continuamente con l’animo corri e dimori, disiderando d’esservi corporalmente. O tu forse con isperanza o d’andare a Montorio a veder Florio, o che egli ritorni a veder te, nutrichi l’amorose fiamme che ti consumano, e non pensi alle gravi cose che la fortuna t’apparecchia a sostenere.