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quelle cose, le quali io pietosamente verso di te da molto amore sospinta operai, da focosa libidine dirai nate.

Ma ricorditi, tra le cose che non vere racconterai, di narrare i tuoi veri inganni, per li quali me piagnevole e misera potrai dire aver lasciata, e con essi i ricevuti onori, acciò che bene facci la tua ingratitudine manifesta all’ascoltante. Nè t’esca di mente di raccontare quanti e quali giovini già d’avere il mio amore tentassero, e i diversi modi, e le inghirlandate porte da’ loro amori, e le notturne risse e le diurne prodezze per quelli operate; nè mai dal tuo ingannevole amore mi poterono piegare. E tu per una giovine appena da te ancora conosciuta, súbito mi cambiasti; la quale, se come me non fia semplice, i tuoi baci prenderà sempre sospetti e guarderassi da’ tuoi inganni, da’ quali io guardare non mi seppi. La quale io priego che tale con teco sia, quale con Atreo fu la sua, o le figliuole di Danao con li nuovi sposi, o Clitemestra con Agamennone, o almeno quale io, operandolo la tua nequizia, col mio marito, non degno di queste ingiurie, sono dimorata; e te a tale miseria perduca, che come io ora per la pietà di me medesima piango, cosí mi sforzi di spandere lagrime per te: e questo, se dagl’iddii verso i miseri con pietà nulla si mira, priego che tosto sia.

Come che io fossi molto da queste dolenti ramaricazioni offesa, e sovente sopra esse tornassi, e non solamente quello dí ma molti altri seguenti, nondimeno mi pungeva d’altra parte non poco la turbazione veduta della giovine sopraddetta, la quale alcuna volta m’indusse a cosí con greve doglia pensare; io, sí come molte volte era usata, diceva con meco stessa: