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di fiera ira, la quale con tumorosissimo caldo sì m’infiammava l’animo, che quasi ad atti rabbiosissimi m’induceva. Nè prima il concreato furore trapassava, che le lagrime abondevolissimamente per gli occhi uscissero, con le quali, molto alcuna volta duranti, esso del petto m’usciva; nel quale per conforto di me medesima, dannando ciò che l’indovina anima mi diceva, quasi a forza la già fuggita speranza con ragioni vanissime rivocava. E in cotal guisa, quasi ogni ripresa allegrezza lasciata, stetti sperando e disperando molto spesso più giorni, sempre sollecita oltremodo a potere acconciamente sapere che di lui fosse, che non veniva.


CAP. V.


Nel quale la Fiammetta dimostra come alli suoi orecchi pervenne Panfilo aver presa moglie, mostrando appresso quanto del suo tornare disperata e dolorosa vivesse.


Lievi sono state infino a qui le mie lagrime, o pietose donne, e i miei sospiri piacevoli a rispetto di quelli, i quali la dolente penna, piú pigra a scrivere che il cuore a sentire, s’apparecchia di dimostrarvi. E certo, se bene si considera, le pene infino a qui trapassate, piú di lasciva giovine che di tormentata quasi si possono dire; ma le seguenti vi parranno d’un’altra mano. Adunque fermate gli animi, nè vi spaventino sí le mie promesse, che, le cose passate parendovi gravi, voi non vogliate ancora vedere le seguenti