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a Dio che ciò cessasse rivolgea il pensiero, nè più nè meno, come se egli davanti agli occhi in quello pericolo mi fosse presente. E alcuna volta mi ricorda che io piansi, quasi come con ferma fede in alcuno de’ pensati mali il vedessi. Ma poi fra me diceva: Ohimè! che cose sono queste, che i miseri pensieri mi porgono davanti? Cessi Iddio che alcuna di queste sia! Innanzi dimori quanto gli piace, o non torni, che, per contentarmi, a caso si metta che alcuna di queste cose avvenga. Le quali ora veramente m’ingannano; però che, posto che possibili siano, impossibili sono ad essere occulte, e molto credibile è la morte di cotale giovine non potere essere nascosa, e massimamente a me, la quale, sollecita, continuamente di lui fo dimandare con investigazioni non poco sottili. E chi dubita ancora che, se le cose male da me pensate alcuna ne fosse vera, che la fama, velocissima rapportatrice de’ mali, già qui non l’avesse condotta? Alla quale la fortuna, in ciò ora poco mia amica, avrebbe data apertissima via per farmi tristissima. Certo io credo piuttosto che egli in gravissimo affanno, come io sono se egli non viene, ora a forza ritenuto dimori, e tosto verrà, o della dimora in mia consolazione, scusandosi, scriverà la cagione.

Certo li già detti pensieri, ancora che fierissimi m’assalissero, pure assai lievemente erano vinti, e la speranza, che per lo passato termine da me di fuggire si sforzava, con ogni mio potere ritenea, ponendole innanzi il lungo amore da me a lui e da lui a me portato, la data fede, i giurati iddii, e le infinite lagrime; le quali cose io affermava essere impossibile che inganno coprissero. Ma io non poteva fare che essa, così ritenuta,