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ne’ loro luoghi acciò che egli tornando, io essendo sformata non gli potessi spiacere. E questo mi fu assai agevole a fare, però che per il già essermi negli affanni adusata, quelli con pochissima fatica portava, e oltre a ciò la propinqua speranza del promesso tornare con non usata letizia ogni dì mi si faceva più sentire. Io le feste non poco intralasciate, dando di ciò al sozzo tempo cagione, venendone il nuovo, ricominciai ad usare; nè prima l’animo, da gravissime amaritudini ristretto, si cominciò in lieta vita ad ampliare, ch’io più bella che mai ritornai; e li cari vestimenti e li preziosi ornamenti, non altramente che il cavaliere per la futura battaglia risarcisce le sue forti armi dove bisogna, li feci belli, acciò che in quelli più ornata paressi nel suo tornare, il quale io invano e ingannata aspettava.

Adunque, sì come gli atti si tramutarono, così si fecero i miei pensieri. A me il non averlo nel suo partir veduto, nè il tristo agurio del piè percosso, nè le sostenute fatiche di lui, nè li dolori ricevuti, nè la nemica gelosia più nella mente venivano, anzi già forse a otto dì alla sua promessa vicina, fra me diceva: Ora al mio Panfilo rincresce l’essere a me stato lontano, e sentendo il tempo vicino a ciò che promise, di tornar s’apparecchia; e forse ora, lasciato il vecchio padre, è nel camino. Oh quanto m’era cotal ragionare caro, e quanto sopr’esso volontieri mi volgeva, molte volte entrando in pensiero con che atto a lui più grazioso mi dovessi ripresentare! Ohimè! quante volte dissi: Egli fia nella sua tornata da me centomilia volte abbracciato, e i miei baci multiplicheranno in tanta quantità, che niuna parola intera lasceranno della