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più sarebbero state, se vero avessi creduto ciò che esse medesime vero indovinavano! Avvegna che quelle che allora non vennero, io poi in molti doppii l’abbia sparte invano.

Oltre a cotal ragionare, l’anima, spesse volte conoscitrice de’ suoi futuri mali, presa da non so che paura, tremava forte; la qual paura più volte in cotal pensiero si risolvette: Panfilo ora nella sua città, piena di templi eccellentissimi e per molte e grandissime feste pomposi, visita quelli, li quali senza niuno dubbio trova di donne pieni, le quali sì come io ho molte fiate udito, ancora che bellissime sieno, di leggiadria e di vaghezza tutte l’altre trapassano, nè alcune ne sono con tanti lacciuoli da pigliare animi, quanti loro. Deh, chi può essere sì forte guardiano di se medesimo, dove tante cose concorrono, che, posto che egli pure non voglia, egli non sia almeno per forza preso alcuna volta? E io medesima fui per forza presa. E oltre a ciò le cose nuove sogliono più che l’altre piacere. Adunque è leggier cosa che egli a loro nuovo ed esse a lui, e possa ad alcuna piacere, e a lui similmente alcuna piacerne. Ohimè! quanto m’era grave cotale imaginare, il quale, che egli non dovesse avvenire, appena poteva da me cacciare, dicendo: Or come potrebbe Panfilo, che te più che sè ama, ricevere nel cuore da te occupato un altro amore? Non sai tu qui alcuna essere stata ben degna di lui, la quale con maggior forza che con quella degli occhi s’ingegnò d’entrarvi, nè vi potè onde trovare? Certo appena, non essendo egli tuo sì come egli è, trapassando ancora qualunque donne si sono di bellezza e d’arte le dèe, che egli così tosto, come tu di’, innamorare si potesse. E oltre a questo,