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piaccia, se non piacerti, a ciò volere di necessità mi conviene disporre. Tuttavia, se essere può, io ti priego che in questo tu sèguiti il mio volere, cioè in dare alla tua andata alcuno indugio, nel quale io, imaginando il tuo partire, con continuo pensiero possa apparare a sofferire d’essere senza te. E certo questo non ti deve essere grave: il tempo medesimo, il quale ora la stagione mena malvagio, m’è favorevole. Non vedi tu il cielo pieno d’oscurità, continuo minacciante gravissime pestilenze alla terra con acque, con nevi, con venti e con ispaventevoli tuoni? E come tu dei sapere, ora per le continue piove ogni piccolo rivo è divenuto un grande e possente fiume. Chi è colui che sì poco se medesimo ami, che in così fatto tempo si metta a camminare? Dunque, in questo fa il mio piacere; il quale se far non vuogli, fa il tuo dovere: lascia i dubbiosi tempi passare, e aspetta il nuovo, nel quale e tu meglio e con meno pericolo andrai, e io, già co’ tristi pensieri costumata più pazientemente aspetterò la tua tornata.

A queste parole egli non indugiò la risposta, ma disse: Carissima giovine, l’angosciose pene e le sollecitudini varie nelle quali io contro a mio piacere ti lascio, e meco senza dubbio ne porto l’une e l’altre, mitighi la lieta speranza della futura tornata; nè di quello che così qui come altrove, quando tempo sarà, mi dee giungere, cioè la morte, è senno d’averne pensiero, nè de’ futuri accidenti a nuocere possibili e a giovare: ovunque l’ira e la grazia di Dio coglie l’uomo, quivi e il bene e il male, senza potere altro, gli conviene sostenere. Adunque queste cose senza badarci, nelle mani di lui, meglio di noi consapevole de’ nostri bisogni, le lascia stare, e