Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/54

Venere, da noi molto faticata, quasi vinta ci dava luogo, e uno lume grandissimo in una parte della camera acceso gli occhi suoi della mia bellezza faceva lieti, e i miei similmente faceva della sua. Li quali, mentre che di quella, parlando io cose varie, essi soperchia dolcezza beveano, quasi d’essa inebriata la luce loro, non so come per piccolo spazio da ingannevole sonno vinti, toltemi le parole, stettero chiusi. Il quale così soave da me passando, come era entrato, del caro amante ramarichevoli mormorii sentirono li miei orecchi, e sùbito della sua sanità in varii pensieri messa, volli dire: Che ti senti?. Ma vinta da nuovo consiglio mi tacqui, e con occhio acutissimo, e con orecchie sottili, lui nell’altra parte del nostro letto rivolto, cautamente mirandolo per alcuno spazio l’ascoltai. Ma nulla delle sue voci presero gli orecchi miei, benchè lui in singhiozzi di gravissimo pianto affannato e il viso parimente e il petto bagnato di lagrime conoscessi.

Ohimè! quali voci mi sarieno sufficienti ad esprimere quale in tale aspetto, la cagione ignorando, l’anima mia divenisse mirandolo? E’ mi corsero mille pensieri che la mente in uno momento, e quasi tutti terminavano in uno, cioè che egli, amando altra donna, contra voglia dimorasse in tal modo. Le mie parole furono più volte infino alle labbra per domandarlo qual fosse la sua noia; ma, dubitando che vergogna non gli porgesse l’esser da me trovato piagnendo, si ritraevano indietro; e similmente trassi gli occhi più volte da riguardarlo, acciò che le calde lagrime cadenti da quelli, venendo sopra di lui, non gli dessero materia di sentire ch’egli fosse da me veduto. Oh quanti modi, impaziente, pensai da operare, acciò che egli desta