Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/30

Ma che? Le preterite cose mal fatte, si possono molto più agevolmente biasimare che emendare. Io fui pur presa, sì come è detto; e qualunque si fosse quella o infernal furia, o inimica fortuna che alla mia casta felicità invidia portasse, ad essa insidiando, questo dì con speranza d’infallibile vittoria si potè rallegrare.

Soppresa adunque dalla passione nuova, quasi attonita e di me fuori, sedeva infra le donne, e li sacri oficii, appena da me uditi non che intesi, passare lasciava, e similemente delle mie compagne li ragionamenti diversi. E sì tutta la mente avea il nuovo e sùbito amore occupata, che, o con gli occhi o col pensiero sempre l’amato giovine riguardava, e quasi con meco medesima non sapeva qual fine di sì fervente disio io mi chiedessi. Oh quante volte, disiderosa di vederlomi più vicino, biasimai io il suo dimorare agli altri di dietro, quello tiepidezza estimando, che egli usava a cautela! E già mi noiavano i giovini a lui stanti dinanzi, de’ quali mentre io fra loro alcuna volta il mio intendimento mirava, alcuni, credendosi che in loro il mio riguardare terminasse, si credettero forse da me essere amati. Ma, mentre che in cotali termini stavano li miei pensieri, si finì l’oficio solenne, e già per partirsi erano le mie compagne levate, quando io, rivocata l’anima, che d’intorno alla imagine del piaciuto giovine andava vagando, il conobbi. Levata adunque con l’altre, e a lui gli occhi rivolti, quasi negli atti suoi vidi quello che io ne’ miei a lui m’apparecchiava di dimostrare, e mostrai, cioè che il partire mi doleva. Ma pure, dopo alcuno sospiro, ignorando chi elli si fosse, mi dipartii.

Deh, pietose donne, chi crederà possibile in un