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mi nunziava. Io non solamente il tempo promesso aspettava, ma precorrendo innanzi, imaginava possibile lui essere venuto, e infinite volte il giorno, ora alle mie finestre, ora alla porta correva, in giù e in su riguardando per la lunga via, se io lui venire vedessi; nè per quella di lontano vedeva alcuno uomo venire, che io non imaginassi possibile essere esso, e quello con disiderio aspettava infino a tanto che, fattomisi vicino, lui conosceva non essere desso; di che alquanto meco rimanendo confusa, agli altri, se alcuno ne veniva, attendeva, e ora questo e ora quello trapassando mi tenevano sospesa; e se forse io richiamata dentro in casa, o per altra cagione, da me v’andava, come da infiniti cani fossi nell’anima addentata mi stimolavano centomilia pensieri dicendo: Deh! forse passa egli testè, o è passato mentre che tu a riguardare non se’ stata: ritorna. E così ritornava, e poi mi levava, e da capo mi ritornava a vedere, poco altro tempo mettendo in mezzo che ad andare dalla finestra alla porta, e dalla porta alla finestra. Oh misera me! quanta fatica per quello che mai avvenire non doveva, d’ora in ora aspettando, sostenni!

Ma poi che venne il giorno stato detto alla mia balia che egli dovea venire, il quale essa più volte m’avea predetto, non altramente che Almena alla fama del suo venturo Anfitrione m’adornai, e con maestrissima mano niuna parte in me lasciai senza bellezza nell’essere suo; e appena mi pote’ ritenere d’andare a’ marini liti, acciò che io lui più tosto potessi vedere, nunziandosi fermamente quelle galee giugnere sopra le quali la mia balia era stata accertata lui dovere venire; ma meco pensando: La prima cosa la