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mia fede. E appena che io dubiti che egli ad altro fine sia dimorato cotanto, se non per provare se con forte animo, senza cambiarlo, lui ho potuto aspettare.

Ecco che fortemente l’ho aspettato: dunque di quinci, sentendo egli con quanta fatica e lagrime e pensieri atteso l’abbia, nascerà amore e non altro. O Iddio, quando sarà che egli venuto mi vegga, e io lui? O Iddio che vedi tutte le cose, potrò io temperare l’ardente mio disio d’abbracciarlo in presenza d’ogni uomo, come io primieramente il vedrò? Certo appena che io il creda. O Iddio, quando sarà che io, nelle mie braccia tenendolo stretto, gli renda li baci, i quali egli nel suo partire diede al mio tramortito viso senza riaverli? Certo l’agurio preso da me del non potergli dire addio è stato vero, e bene m’hanno in quello gl’iddii mostrata la sua futura tornata. O Iddio, quando sarà che io le mie lagrime e le mie angoscie gli possa dire, e ascoltare le cagioni della sua lunga dimoranza? Vivrò io tanto? Appena che io il creda. Deh, venga tosto quel giorno, però che la morte, molto da me per addietro non solamente chiamata, ma cercata, ora mi spaventa: la quale, se possibile è che alcuno priego alle sue orecchie pervenga, la priego che, da me lontanandosi, col mio Panfilo li miei giovini anni in allegrezza lasci trascorrere.

Io era sollecita che niuno giorno passasse che io della tornata di Panfilo non sentissi vera novella, e più volte la cara balia sollecitai a ritrovare il giovine nunziatore della lieta novella, acciò che con più fermezza si facesse accertare di ciò che detto m’avea, ed ella il fece non una volta sola, ma molte, e tuttavia secondo li procedenti tempi più prossimana tornata