Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/177

non si partia la vecchia balia, dubitando non troppo aspettare, me apparecchiata a morire indietro traesse il proposto, o che accidente via nol togliesse, stese le braccia sopra il mio letto quasi abbracciandolo, dissi piagnendo: O letto, rimanti con Dio, il quale io priego che alla seguente donna, più che a me non t’ha fatto, ti facci grazioso.

Poi, gli occhi rivolti per la camera, la quale più mai non sperava vedere, presa da dolore sùbito il cielo perdei, e quasi palpando, e presa da non so che tremito mi volli levare, ma le membra vinte da paura orribile non mi sostennero; anzi ricaddi, e non solo una, ma tre fiate sopra il mio viso, e in me fierissima battaglia sentiva tra li paurosi spiriti e l’adirata anima, li quali lei volente fuggire a forza teneano. Ma pure l’anima vincendo, e da me la fredda paura cacciando, tutta di focoso dolore m’accesi, e riebbi le forze. E già nel viso del colore palido della morte dipinta, impetuosamente su mi levai, e, quale il forte toro ricevuto il mortal colpo furioso in qua e in là saltella, sè percotendo, cotale dinanzi agli occhi miei errando Tesifone, del letto, non conoscendo gl’impeti miei, come baccata mi gittai in terra, e dietro alla furia correndo, verso le scale saglienti alla somma parte delle mie case mi dirizzai; e già fuori della camera trista saltata, forte piagnendo, con disordinato sguardo tutte le parti della casa mirando, con voce rotta e fioca dissi: O casa, male a me felice, rimani etterna, e la mia caduta fa manifesta all’amante, se egli torna; e tu, o caro marito, confòrtati e per innanzi cerca d’una più savia Fiammetta. O care sorelle, o parenti, o qualunque altre compagne e amiche, o servitrici fedeli, rimanete