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mie pene ad un’ora ne tragga con molto sangue; e il cuore, di queste cose ritenitore, sì come ingannatore principale e ricettatore de’ suoi nemici, laceri come merita la commessa nequizia.

Dappoi che la vecchia balia me tacita del parlare e nel profondo delle lagrime vide, così con voce sommessa mi cominciò a dire: O cara figliuola, che è quello che tu favelli? Le tue parole sono vane, e pessimi sono gl’intendimenti. Io in questo mondo vecchissima molte cose ho vedute, e gli amori di molte donne senza dubbio ho conosciuti; e ancora che io tra ’l numero di voi da mettere non sia, non per tanto io pur già conobbi gli amorosi veleni, li quali così vengono gravi, e molto più tal fiata, alle menome genti come alle più possenti, in quanto più alle indigenti sono chiuse le vie a’ loro piaceri, che a coloro che con le ricchezze le possono trovare per l’ozio loro, nè quello che tu quasi impossibile e tanto a te penoso favelli, non udii, nè sentii mai essere duro come ne porgi. Il quale dolore, pure posto che gravissimo sia, non è però da consumarsene come fai, e quindi cercare la morte, la quale tu più adirata che consigliata domandi. Bene conosco io che la rabbia dalla focosa ira stimolata è cieca, e non cura di coprirsi, nè freno alcuno sostiene, nè teme morte, anzi essa medesima da se stessa sospinta, si fa contro alle mortali punte dell’acute spade, la quale, se alquanto raffreddare fia lasciata, non dubito che l’accesa follia saria manifesta al raffreddato. E però, figliuola, sostieni il tuo grave impeto, e dà luogo al furore, e alquanto nota le mie parole; e negli essempli da me detti ferma l’animo tuo.

Tu ti duoli con gravi ramarichii, se io ho bene le