Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/163

stimolata, e, morta, poi di piggiori cose ti sarò cagione.

Ohimè misera! In che si stendono le mie parole? Io ti minaccio, e tu mi nuoci, e il mio amante tenendoti, quello delle minacciate offese ti curi che gli altissimi re de’ meno possenti uomini. Ohimè! ora fosse a me lo ’ngegno di Dedalo, o li carri di Medea, acciò che per quello aggiugnendo ali alle mie spalle, o per l’aere portata, subitamente dove tu gli amorosi furti nascondi mi ritrovassi! Oh quante e quali parole al falso giovine e a te, rubatrice degli altrui beni, direi con viso turbato e minaccevole! Oh con quanta villania i vostri falli riprenderei! E poi che te e lui delle commesse colpe vergognosi avessi renduti, senza alcuno freno o indugio procederei alla vendetta, e li tuoi capelli con le proprie mani pigliandoli e laniandoli forte, te ora qua e ora là tirando per quelli, davanti al perfido amante sazierei le mie ire, e con essi tutti li vestimenti ti straccerei. Nè questo mi basterebbe, anzi, con tagliente unghia il viso piaciuto agli occhi falsi arerei in molte parti, lasciando etterni segnali in quello delle mie vendette; e il misero corpo tutto con li bramosi denti lacererei, il quale poi lasciando a colui che ora ti lusinga a medicare, lieta ricercherei le triste case.

Mentre che io queste parole dico, con gli occhi sfavillanti e co’ denti serrati, e con le pugna strette, quasi a’ fatti fossi, dimoro, e pare che parte della disiata vendetta mi rechino; ma la vecchia balia quasi piagnendo mi dice: O figliuola, posci che tu conosci la fiera tirannia dello iddio che ti molesta, tempera te medesima, e li tuoi pianti raffrena; e se la debita pietà di te stessa a ciò non ti muove, muovati il tuo onore,