Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/156

turba, o qualunque altro essilio maggiore più giù si nasconde, prendetemi, e me a’ meritati supplicii date nocente. O sommo Giove, contro a me giustamente adirato, tuona e con tostissima mano in me le tue saette discendi; o sacra Giunone, le cui santissime leggi io sceleratissima giovine ho corrotte, vèndicati; o caspie rupi, lacerate il tristo corpo; o rapidi uccelli, o feroci animali, divorate quello; o cavalli crudelissimi dividitori dell’innocente Ipolito, me nocente giovine squartate; o pietoso marito, volgi nel petto mio con debita ira la spada tua, e con molto sangue la pessima anima di te ingannatrice ne caccia fuori. Niuna pietà, niuna misericordia in me sia usata, poichè la fede debita al santo letto posposi all’amore di strano giovine. O più che altra iniqua femina di questi e d’ogni maggiori supplicii degna, qual furia ti si parò davanti agli occhi casti, il dì che prima Panfilo ti piacque? Dove abandonasti tu la pietà debita alle sante leggi del matrimonio? Dove la castità, sommo onore delle donne, cacciasti allora che per Panfilo il tuo marito abandonasti? Ove è ora verso te la pietà dell’amato giovine? Ove li conforti da lui dati a te nella tua miseria si trovano? Egli nel seno d’un’altra giovine lieto trascorre il fuggevole tempo, nè di te si cura; e a ragione e meritamente così ti doveva avvenire, e a te e a qualunque altra li legittimi amori pospone alli libidinosi. Il tuo marito, più debito ad offenderti che ad altro, s’ingegna di confortarti, e colui che ti doveria confortare, non cura d’offenderti.

Ohimè! or non era egli bello come Panfilo? Certo sì. Le sue virtù, la sua nobiltà e qualunque altra cosa non avanzavano molto quelle di Panfilo? Or chi ne dubita?