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irretire la presa donna?

Ahi maladetta sia la mia pietà, la quale quella vita da morte prosciolse, che di sè facendo lieta altra donna, la mia dovea recare a morte oscura! Ora gli occhi, che nella mia presenza piagnevano, davanti alla nuova donna ridono, e il mutato cuore ha ad essa rivolte le dolci parole e le profferte. Ohimè! dove sono ora, o Panfilo, gli spergiurati iddii? Dove la promessa fede? Dove le infinte lagrime, delle quali io gran parte miseramente bevvi, pietose credendole, ed esse erano piene del tuo inganno? Tutte queste cose nel seno della nuova donna rimesse, con teco insieme m’hai tolte.

Ohimè! quanto mi fu già grave udendo te per giunonica legge dato ad altra donna! Ma sentendo che li patti da te a me donati non erano da preporre a quelli, posto che faticosamente il portassi, pur vinta dal giusto dolore, con meno angoscia il sostenea. Ma ora, sentendo che per quelle medesime leggi, per le quali tu a me se’ stretto, tu ti sii, a me togliendoti, dato ad altra donna, m’è importabile supplicio a sostenere. Ora le tue dimoranze conosco, e similmente la mia semplicità, con la quale sempre te dovere tornare ho creduto, se tu avessi potuto. Ohimè! ora abbisognavanti, o Panfilo, tante arti ad ingannarmi? Perchè li giuramenti grandissimi e la fede interissima così mi porgevi, se d’ingannarmi per cotal modo intendevi? Perchè non ti partivi tu senza commiato cercare, o senza promessa alcuna di ritornare? Io, come tu sai, fermissimamente t’amava, ma io non t’aveva perciò in prigione, che tu a tua posta senza le infinte lagrime non ti fossi potuto partire. Se tu così avessi fatto, io mi sarei senza dubbio di te disperata, subitamente conoscendo