Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/150

al misero accidente, acciò che, partendosi quelle, luogo mi rimanesse a dolermi. Ma poi che di loro alcuna si fu partita, e all’altre fu dato commiato, essendo io quasi lieta nell’aspetto tornata, sola con la mia antica balia e con la consapevole serva de’ danni miei quivi rimasi, delle quali ciascuna alla mia vera infermità porgeva confortevoli unguenti, da doverla guarire, se ella non fosse mortale. Ma io l’animo avendo solamente alle parole udite, subitamente nemica divenuta d’una di voi, o donne, non so di quale, gravissime cose cominciai a pensare, e il dolore, che tutto dentro stare non poteva, con rabbiosa voce in cotal guisa fuori del tristo petto sospinsi: O iniquo giovine, o di pietà nemico, o più che altro pessimo Panfilo il quale ora, me misera avendo dimenticata, con nuova donna dimori, maladetto sia il giorno che io prima ti vidi, e l’ora, e ’l punto nel quale tu mi piacesti! Maladetta sia quella dèa che, apparitami, me, fortemente resistente ad amarti, rivolse con le sue parole dal giusto intendimento! Certo io non credo che essa fosse Venere, ma piuttosto in forma di lei alcuna infernal furia, me non altramente empiente d’insania, che facesse il misero Atamante. O crudelissimo giovine, da me tra molti nobili e belli e valorosi solo eletto pessimamente per lo migliore, ove sono ora li prieghi, li quali tu più volte a me per iscampo della tua vita piagnendo porgesti, affermando quella e la tua morte stare nelle mie mani? Ove sono ora li pietosi occhi co’ quali a tua posta, misero, lagrimavi? Ove è ora l’amore a me mostrato? Ove le dolci parole? Ove li gravi affanni ne’ miei servigi profferti? Sono essi del tutto della tua memoria usciti? O haigli nuovamente adoperati ad