Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/145

assai leggiere, e a me grandissime, conterranno: io non ti cerco altro, se non che a me sia renduto il mio Panfilo. Ohimè! quanto e come conosco bene questa preghiera nel cospetto di te giustissimo giudice essere ingiusta!

Ma dalla tua giustizia medesima si dee muovere il meno male piuttosto volere che ’l maggiore. A te, a cui niente s’occulta, è manifesto a me per niuna maniera potere uscire della mente il grazioso amante nè li preteriti accidenti, del quale e de’ quali la memoria a sí fatto partito mi rieca con gravi dolori, che già per fuggirli mille modi di morte ho dimandati; li quali tutti un poco di speranza, che di te m’è rimasa, m’ha levati di mano. Dunque, se minore male è il mio amante tenere, come io già tenni, che insieme il corpo uccidere con l’anima trista, sí come io credo, torni e rendamisi. Sieti piú caro li peccatori vivere, e possibili a te conoscere! che morti, senza speranza di redenzione, e vogli innanzi parte che tutto perdere delle creature da te create.

E se questo è grave ad essermi conceduto, concedamisi quella che d’ogni male è ultimo fine, prima che io costretta da maggiore doglia, da me con diterminato consiglio la prenda. Vengano le mie voci nel tuo cospetto; le quali se te toccare non possono, o qualunque altri iddii tenenti le celestiali regioni s’alcuno di voi vi si trova, il quale mai quaggiú vivendo, quell’amorosa fiamma provasse la quale io pruovo, ricevetele, e per me le porgete a colui, il quale da me non le prende, si che impetrandomi grazia, prima quaggiú lietamente, e poi nella fine de’ miei giorni costassú con voi io possa vivere, e innanzi tratto alli peccatori dimostrare convenevole l’uno peccatore all’altro perdonare, e dare