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voce di me sgannerei ogni ingannata persona, nè celerei la cagione che trista mi tiene; ma non si puote.

Come io ho a quella, che prima addimandata m’avea, risposto, l’altra dal mio lato, veggendo le mie lagrime rasciugare, dice: O Fiammetta, dov’è fuggita la vaga bellezza del viso tuo? Dove l’acceso colore? Quale è la cagione della tua palidezza? Gli occhi tuoi, simili a due mattutine stelle, ora intorniati di purpureo giro, perchè appena nella tua fronte si scernono? E gli aurei crini con maestrevole mano ornati per addietro, ora perchè chiusi appena si veggono senza alcuno ordine? Dilloci, tu ne fai senza fine maravigliare.

Da questa con poche parole sciogliendomi, dico: Manifesta cosa è l’umana bellezza essere fiore caduco e da un giorno ad un altro venire meno, la quale se di sè dà fidanza ad alcuna, miseramente a lungo andare se ne trova prostrata. Quegli che la mi diede, con sordo passo sottomettendomi le cagioni da cacciarla! se l’ha ritolta, possibile a renderlami, quando gli pur piacesse.

E questo detto, non potendo le lagrime ritenere, chiusa sotto il mio mantello, copiosamente le spando, e meco con cotali parole mi dolgo: O bellezza, dubbioso bene de mortali, dono di piccolo tempo, la quale piú tosto vieni e pàrtiti, che non fanno ne’ dolci tempi della primavera i piacevoli prati risplendenti di molti fiori, e gli eccelsi alberi carichi di varie frondi, li quali, ornati dalla virtú d’Ariete, dal caldo vapor della state sono guasti e tolti via; e se forse alcuni pure ne risparmia il caldo tempo, niuno dall’autunno è risparmiato; cosí e tu, bellezza, le piú volte nel mezzo de’ migliori anni da molti