Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/132

non è di necessità il piú in ciò prolungare la mia novella: egli nella lunghissima schiera mostrava Agamennone, Aiace, Ulisse, Diomedes, e qualunque altro Greco, Frigio o Latino fu degno di laude. Nè poneva a beneplacito cotali nomi, anzi con ragioni accettevoli fermando li suoi argomenti sopra le maniere de’ nominati, loro debitamente assimigliati mostrava; per che, non era l’udire cotali ragionamenti meno dilettevole, che il vedere coloro medesimi di cui si parlava.

Essendo adunque la lieta schiera due o tre volte, cavalcando con piccolo passo, dimostratasi a’ circustanti, cominciavano i loro aringhi; e diritti sopra le staffe, chiusi sotto gli scudi, con le punte delle lievi lance tuttavia igualmente portandole quasi rasente terra, velocissimi piú che aura alcuna, corrono i loro cavalli; e l’aere essultante per le voci del popolo circustante, per li molti sonagli, per li diversi strumenti, e per la percossa del riverberante mantello del cavallo e di sè a meglio e piú vigoroso correre li rinfranca. E cosí tutti veggendoli, non una volta ma molte, degnamente ne’ cuori de’ riguardanti si rendono laudevoli. Oh quante donne, quale il marito, quale l’amante, quale lo stretto parente veggendo tra questi, ne vidi già piú fiate sommissimamente rallegrare! Certo assai e non che esse, ma ancora le strane. Io sola, ancora che ’l mio marito vi vedessi o vi veggia, e con esso i miei parenti, dolente li riguardava, Panfilo non veggendovi, e lui essere lontano ricordandomi. Deh, or non è questa mirabile cosa, o donne, che ciò ch’io veggio mi sia materia di doglia nè mi possa rallegrare cosa alcuna? Deh, quale anima è in