Pagina:Boccaccio - Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tomo 5, 1828.djvu/246

242

a te, e avesselo voluto fare: ma questo mi pare che sarebbe impossibile: che appena che io creda, che, non che tanti, ma un altro se ne trovasse, che così ne potesse divenire abbagliato come tu divenisti. Deh misera la vita tua! Quanti sono i signori, li quali, se io per li loro titoli te li nominassi, in tuo danno te ne vanaglorieresti, dove in tuo pro non te ne se’ voluto rammemorare? Quanti i nobili e grandissimi uomini, alli quali, volendo tu, saresti carissimo, e per soperchio e poco laudevole sdegno, il quale è in te, a niuno t’accosti? e se pure ad alcuno, poco con lui puoi sostenere, se esso a fare a te quello che tu ad esso dovresti fare non si declina, cioè seguire i tuoi costumi, ed esserti arrendevole; ove tu con ogni sollecitudine dovresti i suoi seguire e andarli alla seconda: e a costei andando quanto tu più umilmente potevi, non parendoti così bene esser ricevuto come desideravi, non ti partivi come fatto avresti e faresti da quelli che esaltar ti possono, dove costei sempre ti deprimerebbe, ma chiamavi la morte che t’uccidesse: la qual più tosto chiamar dovevi, avendo riguardo a quello a che l’anima tua s’era dechinata: e a che utilità? e a cui sottomessa? ad una vecchia rantolosa vizza malsana, pasto omai da cani più che da uomini; più da guardare la cenere del focolare omai, che da apparire tra genti perchè guardata sia. Deh lasciamo stare quello che tu, per tuo studio, di grazia da Dio hai acquistato, e vegnamo a quello solo che dalla natura t’è stato conceduto; e questo veduto, se così se’ sdegnoso come ti mostri nell’altre cose, non d’essere stato schernito, come forse ti fai, tu ti piagnerai e lamentera’ ti, ma d’averti, a modo che un nibbio, la-