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del golfo di Setalia nella valle d’Acheronte, riposto sotto gli oscuri boschi di quella, spesse volte rugginosi, e d’una gromma spiacevoli e spumosi, e d’animali di nuova qualità ripieni, ma pure il dirò. La bocca, per la quale nel porto s’entra, è tanta e tale, che quantunque il mio legnetto con assai grande albero navigasse, non fu giammai, qualunque ora l’acque furono minori, che io non avessi, senza sconciarmi di nulla, a un compagno, che con non minore albero di me navigato fosse, fatto luogo. Deh, che dico io? L’armata del re Roberto, qualora egli la face maggiore, tutta insieme concatenata, senza calar vela, o tirare in alto timone, a grandissimo agio vi potrebbe essere entrata: ed è mirabil cosa, che mai legno non v’entrò, che non vi perisse, e che vinto e stanco, fuori non ne fosse gittato, siccome in Cicilia la Scilla e la Cariddi si dice che fanno, che l’una tranghiottisce le navi, e l’altra le gitta fuori. Egli è certo quel golfo una voragine infernale, la quale allora si riempierebbe o sazierebbe, che il mare d’acqua, o il fuoco di legne. Io mi tacerò de’ fiumi sanguinei e crocei che di quella a vicenda discendono, di bianca muffa faldellati, talvolta non meno al naso che agli occhi dispiacevoli, perciocchè ad altro mi tira il preso stile. Che ti dirò adunque più avanti del borgo di mal pertugio, posto tra due rilevati monti, del quale alcuna volta, quando con tuoni grandissimi, e quando senza, non altrimenti che di mongibello, spira un fumo sulfureo sì fetido e sì spiacevole, che tutta la contrada attorno appuzzola? Io non so che dirmiti, se non che quando io vicino v’abitai, che vi stetti più che voluto non avrei, assai volte, da così fatto fiato of-