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che infaccendato non fosse, quale a fare ariento solimato, a purgar verderame, a far mille lavature, e quale ad andare cavando e cercando radici salvatiche ed erbe mai più non udite ricordare se non a lei: e senza che insino a’ fornaciai a cuocere guscia d’uova, gromma di vino marzacotto, e altre mille cose nuove n’erano impacciati. Delle quali confezioni essa ungendosi e dipignendosi, come sè a vendere dovesse andare, spesse volte avvenne che, non guardandomene io, e baciandola, tutte le labbra m’invischiai; e meglio col naso quella biuta, che con gli occhi sentendo, non che quello che nello stomaco era di cibo preso, ma appena gli spiriti ritenea nel petto. Or s’io li dicessi di quante maniere ranni il suo auricome capo si lavava e di quante ceneri fatto, e alcuno più fresco e alcuno meno, tu ti maraviglieresti, e viepiù se io ti disegnassi quante e quali solennità si servavano nell’andare alla stufa, e come spesso: dalle quali io credea lei lavata dover tornare, ed ella più unta ne venia che non v’era ita. Erano sommo suo desiderio e recreazione grandissima certe femminette, delle quali per la nostra città sono assai, che fanno gli scorticatoi alle femmine, e pelando le ciglia e le fronti, e col vetro sottigliando le gote, e del collo assottigliando la buccia, e certi peluzzi levandone, nè era mai che due o tre non se ne fossono con lei a stretto consiglio trovate, come chè altri trattati spesse volte tenessono, siccome quelle che oltre a quella loro arte, sotto titolo della quale baldanzose l’altrui case vicitassero; e le donne sono ottime sensali a fare che messer mazza rientri in valle bruna, donde dopo molte lagrime era stato cacciato fuori. Egli non si verrebbe a capo in