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a mettere in opera l’alte virtù che il tuo amico tante di lei con cotanta solennità ti raccontò. Ma non avendole egli bene per le mani, come ebbi io, mi piace con più ordine di contarleti. E acciocchè io dalla sua principale cominci, affermo per lo dolce mondo che io aspetto, e se elli tosto mi sia conceduto, che nella nostra città nè fu nè è o sarà donna, o femmina che vogliamo dire, chè diremo meglio, in cui tanto di vanità fusse, che quella di colei di cui parliamo di grandissima lunga non l’avanzasse. Per la qual cosa costei estimando che l’aver ben le gole gonfiate e vermiglie, e grosse e sospinte in fuori le natiche, avendo forse udito che queste sommamente piacciono in Alessandria, e perciò fossono grandissima parte di bellezza in una donna, in niuna cosa studiava tanto, quanto in fare che queste due cose in lei fossono vedute pienamente: nel quale studio queste cose pervenieno alle spese di me, che talor digiunava per risparmiare. Primieramente se grossi capponi si trovavano, de’ quali ella molti con gran diligenza faceva nutricare, conveniva che innanzi cotti le venissono, e le pappardelle col formaggio parmigiano similmente: le quali non in iscodella, ma in un catino, a guisa del porco, così bramosamente mangiava, come se pure allora per lungo digiuno fosse della torre della fame uscita. Le vitelle di latte, le starne, i fagiani, i tordi grassi, le tortole, le suppe lombarde, le lasagne maritate, le frittellette sambucate, i migliacci bianchi, i bramangeri, de’ quali ella faceva non altre corpacciate che facciano di fichi o di ciriege o di poponi i villani quando ad essi s’avvengono, non curo di dirti. Le gelatine la carne e ogni altra