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dando hanno il cammino smarrito, nè vorrebbero già che fosse loro insegnato; e se pure alcuno, predicando, se ne affatica, così alle sue parole gli orecchi chiudono, come l’aspido al suono dell’incantatore.

Ora io non t’ho detto quanto questa perversa moltitudine sia golosa ritrosa e ambiziosa, invidiosa accidiosa iracunda e delira, nè quanto ella nel farsi servire sia imperiosa noiosa vezzosa stomacosa e importuna, e altre cose assai, le quali molto più e più spiacevoli che le narrate se ne potrebbero contare, nè intendo al presente di dirleti, chè troppo sarebbe lunga la storia; ma per quello che detto t’ho, dei tu assai ben comprendere chente esse universalmente sieno, e in quanto cieca prigione caggia e dolorosa chi sotto l’imperio loro cade per qual che si sia la cagione. Pare essere a me molto certo, che se mai ad alcune perverrà all’orecchie la verità della loro malizia e de’ loro difetti da me dimostrati, che esse incontanente non a riconoscersi nè a vergognarsi d’essere da altrui conosciute, e ad ogni forza e ingegno di divenir migliori, come dovrebbono, rifuggiranno, ma come usate sono, pure al peggio n’andranno correndo e diranno, me queste cose dire non come veritiero, ma come uomo al quale, perciocchè altra spezie piacque, esse dispiacquono. Ma volesse Iddio che non altramente che quello abominevol peccato mi piacque esse mi fossero piaciute giammai, perciocchè io avrei assai tempo acquistato di quello che io dietro ad esse perdei, e nel mondo là dove io sono assai minor tormento sofferrei che quello ch’io sostengo. Ma vegnamo ad altro. Dovevanti ancora gli studii tuoi dimostrare chi tu medesimo sii, quando il