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novella decima 93

[X]

Due sanesi amano una donna comare dell’uno; muore il compare e torna al compagno secondo la promessa fattagli, e raccontagli come di lá si dimori.


Restava solamente al re il dover novellare; il quale, poi che vide le donne racchetate, che del pero tagliato che colpa avuta non avea, si dolevano, incominciò:

Manifestissima cosa è che ogni giusto re primo servatore dée essere delle leggi fatte da lui, e se altro ne fa, servo degno di punizione e non re si dée giudicare; nel quale peccato e riprensione a me, che vostro re sono, quasi costretto cader conviene. Egli è il vero che io ieri la legge diedi a’ nostri ragionamenti fatti oggi, con intenzione di non voler questo dí il mio privilegio usare, ma soggiacendo con voi insieme a quella, di quel ragionare che voi tutti ragionato avete: ma egli non solamente è stato ragionato quello che io imaginato avea di raccontare, ma sonsi sopra quello tante altre cose e molto piú belle dette, che io per me, quantunque la memoria ricerchi, rammentar non mi posso né conoscere che io intorno a sí fatta materia dir potessi cosa che alle dette s’appareggiasse. E per ciò, dovendo peccare nella legge da me medesimo fatta, sí come degno di punizione, infino da ora ad ogni ammenda che comandata mi fia mi proffero apparecchiato, ed al mio privilegio usitato mi tornerò: e dico che la novella detta da Elissa del compare e della comare, ed appresso, la bessaggine de’ sanesi hanno tanta forza, carissime donne, che, lasciando star le beffe agli sciocchi mariti fatte dalle lor savie mogli, mi tirano a dovervi contare una novelletta di loro, la quale, ancora che in sé abbia assai di quello che creder non si dée, nondimeno sará in parte piacevole ad ascoltare.

Furono adunque in Siena due giovani popolani, de’ quali l’uno ebbe nome Tingoccio Mini e l’altro fu chiamato Meticcio di Tura, ed abitavano in Porta Salaia: e quasi mai non usavano