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troncamento nella vulg. o, viceversa, tronca quelle che lá erano intere, ovvero ne porge acconce modificazioni, cosí che molte volte viene a ricostituirsi quell’esito del periodo o delle sue clausole piú importanti conforme ai dettami del cursus medievale, che il Parodi intuí felicemente dovesse essere seguito dal Bocc. anche nella prosa volgare come fu nei suoi scritti latini preumanistici1. Su questo argomento per altro la prudenza ha consigliato di attendere che studi e ricerche nella direzione indicata permettano di procedere a ritocchi testuali per la ricostituzione del cursus con la necessaria sicurezza2.

Non è lecito sperare che in un testo cosí ampio una certa quantitá di errori di varia natura non siano ancora insidiosamente celati nella lezione, sí da sfuggire alle cure piú sagaci e alla pazienza piú metodica impiegate a snidarneli: mancamenti inavvertiti, infiltrazioni indebite, parole non proprie, pause non giuste creanti interpretazioni inesatte, equivoci d’altra qualitá, se sussistono nella presente stampa, potranno essere di mano in mano additati e corretti, da me stesso e da altri. Mi si lasci per altro esprimere l’opinione che con questa un serio sforzo sia stato fatto per avvicinare la meta a cui tesero tanti secoli di lavorio critico: restituire, come fu giá detto, un autentico capolavoro qual è il Dec. alle sue forme originarie nei rispetti dell’arte e della lingua3.

  1. Cfr. E. G. Parodi, Osservazioni sul ‘cursus’ nelle opere latine e volg. del Bocc., nel vol. Studii su G. Bocc. cit., p. 232 sgg.
  2. Che non si tratti di mera illusione, mostra la seguente analisi ritmica del primo periodo del Dec., dove segno tra le lettere da elidere nella pronunzia secondo i bisogni del ritmo: «Umana cosa è l’avere compassióne degli afflitti (velox), e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è mássimamènte (planus) richèsto (pl.) li quali giá hanno di confòrto avúto (pl.) mestière (pl.) ed hannol trovat[o] in alcuni (pl.); tra li quali, se alcuno mai n’èbbe (pi) bisógno (pl.) o gli fu caro o giá ne ricevètte piacére (pl.), io sòn[o] un di quègli (pl.)». Qui si nota l’assenza completa del cursus tardus, che infatti mi risulta rappresentato assai scarsamente nei pochi altri assaggi che ho fatto qua e lá della prosa delle novelle.
  3. Non sará fuor di posto segnalare qui i sensibili benefici che hanno tratto i nomi propri dei personaggi delle novelle sia dalla lezione di B (corrottasi in L e quindi nella vulg.) sia da altri sussidi Ser Ciapperello (I, i) torna ad essere sempre e soltanto Cepparello; messer Tedaldo padre di un omonimo Tedaldo (II, iii) si rifá Tebaldo, per distinguersi dal figlio; il casato di Landolfo Ruffolo (III, iv) si riuniforma alla grafia reale dei documenti e perde una f, come quello del marito di Catella (III, vi) ritorna, di Fighinolfi, Sighinolfi, e quello dell’amico di Peronella (VII, ii), di Sirignario, Scrignario. Non Giusfredi ma Giuffredi si ribattezza il primogenito di madama Beritola (II, vi). Encararch (II, ix) lascia scomporre il suo