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novella ottava 283

trovar chi loro rispondesse, ed allora non solamente umili ma vilissimi divenire, pensò, piú non fossero senza risposta da comportare le lor novelle: ed avendo esso animo romano e senno ateniese, con assai acconcio modo i parenti di Gisippo e que’ di Sofronia in un tempio fe’ ragunare, ed in quello entrato, accompagnato da Gisippo solo, cosí agli aspettanti parlò: — Credesi per molti filosofanti che ciò che s’adopera da’ mortali sia degl’iddii immortali disposizione e provvedimento; e per questo vogliono alcuni, esser di necessitá ciò che ci si fa o fará mai, quantunque alcuni altri sieno che questa necessitá impongano a quel che è fatto solamente. Le quali oppinioni se con alcuno avvedimento riguardate fieno, assai apertamente si vedrá che il riprender cosa che frastornar non si possa, niuna altra cosa è a fare se non volersi piú savio mostrar che gl’iddii, li quali noi dobbiam credere che con ragion perpetua e senza alcuno error dispongano e governino noi e le nostre cose; per che, quanto le loro operazion ripigliare sia matta presunzione e bestiale, assai leggermente il potete vedere, ed ancora chenti e quali catene color meritino che tanto in ciò si lasciano trasportar dall’ardire. De’ quali, secondo il mio giudicio, voi siete tutti, se quello è vero che io intendo che voi dovete aver detto e continuamente dite, per ciò che mia moglie Sofronia è divenuta, dove lei a Gisippo avevate data, non riguardando che ab eterno disposto fosse che ella non di Gisippo divenisse ma mia, sí come per effetto si conosce al presente. Ma per ciò che il parlare della segreta provvedenza ed intenzion degl’iddii pare a molti duro e grave a comprendere, presupponendo che essi di niun nostro fatto s’impaccino, mi piace di discendere a’ consigli degli uomini; de’ quali dicendo, mi converrá far due cose molto a’ miei costumi contrarie: l’una fia alquanto me commendare e l’altra il biasimare alquanto altrui o avvilire; ma per ciò che dal vero né nell’una né nell’altra non intendo partirmi, e la presente materia il richiede, il pur farò. I vostri ramarichíi, piú da furia che da ragione incitati, con continui mormoríi, anzi romori, vituperano, mordono e dannano Gisippo per ciò che colei m’ha data per moglie col suo consiglio, che voi a lui col vostro