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276 | giornata decima |
Nel tempo adunque che Ottavian Cesare, non ancora chiamato Augusto, ma nell’uficio chiamato triumvirato lo ’mperio di Roma reggeva, fu in Roma un gentile uomo chiamato Publio Quinzio Fulvo, il quale, avendo un suo figliuolo, Tito Quinzio Fulvo nominato, di maraviglioso ingegno, ad imprender filosofia il mandò ad Atene, e quantunque piú poté, il raccomandò ad un nobile uomo chiamato Cremete, il quale era antichissimo suo amico. Dal quale Tito nelle proprie case di lui fu allogato in compagnia d’un suo figliuolo nominato Gisippo; e sotto la dottrina d’un filosofo chiamato Aristippo, e Tito e Gisippo furon parimente da Cremete posti ad imprendere. E venendo i due giovani usando insieme, tanto si trovarono i costumi loro esser conformi, che una fratellanza ed un’amicizia sí grande ne nacque tra loro, che mai poi da altro caso che da morte non fu separata: e niun di loro aveva né ben né riposo se non tanto quanto erano insieme. Essi avevano cominciati gli studi, e parimente ciascuno d’altissimo ingegno dotato, saliva alla gloriosa altezza della filosofia con pari passo e con maravigliosa laude: ed in cotal vita con grandissimo piacer di Cremete, che quasi l’un piú che l’altro non avea per figliuolo, perseveraron ben tre anni. Nella fine de’ quali, sí come di tutte le cose addiviene, addivenne che Cremete giá vecchio di questa vita passò; di che essi pari compassione sí come di comun padre portarono, né si discernea per gli amici né per gli parenti di Cremete qual piú fosse per lo sopravvenuto caso da racconsolar di lor due. Avvenne, dopo alquanti mesi, che gli amici di Gisippo ed i parenti furon con lui, ed insieme con Tito il confortarono a tôr moglie, e trovarongli una giovane di maravigliosa bellezza e di nobilissimi parenti discesa e cittadina d’Atene, il cui nome era Sofronia, d’etá forse di quindici anni. Ed appressandosi il termine delle future nozze, Gisippo pregò un dí Tito che con lui andasse a vederla, che veduta ancora non l’avea: e nella casa di lei venuti, ed essa sedendo in mezzo d’ammenduni, Tito, quasi consideratore della bellezza della sposa del suo amico, la cominciò attentissimamente a riguardare, ed ogni parte di lei smisuratamente piacendogli, mentre quelle seco sommamente