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novella sesta | 213 |
che t’impregnava, che Dio la faccia trista chiunque ella è, ché ella dée ben sicuramente esser cattiva cosa ad aver vaghezza di cosí bella gioia come tu se’! — Calandrino, veggendo venir la moglie, non rimase né morto né vivo, né ebbe ardire di far contro di lei difesa alcuna: ma pur cosí graffiato e tutto pelato e rabbuffato, ricolto il cappuccio suo e levatosi, cominciò umilmente a pregar la moglie che non gridasse, se ella non volesse che egli fosse tagliato tutto a pezzi, per ciò che colei, che con lui era, era moglie del signor della casa. La donna disse: — Sia, che Iddio le déa il malanno! — Bruno e Buffalmacco, che con Filippo e con la Niccolosa avevan di questa cosa riso a lor senno, quasi al romor venendo, colá trassero, e dopo molte novelle rappaceficata la donna, dieron per consiglio a Calandrino che a Firenze se n’andasse e piú non vi tornasse, acciò che Filippo, se niente di questa cosa sentisse, non gli facesse male. Cosí adunque Calandrino tristo e cattivo, tutto pelato e tutto graffiato a Firenze tornatosene, piú colá su non avendo ardir d’andare, il dí e la notte molestato ed afflitto da’ rimbrotti della moglie, al suo fervente amor pose fine, avendo molto dato da ridere a’ suoi compagni ed alla Niccolosa ed a Filippo.
[VI]
Due giovani albergano con uno, de’ quali l’un si va a giacere con la figliuola, e la moglie di lui disavvedutamente si giace con l’altro; quegli che era con la figliuola, si corica col padre di lei e dicegli ogni cosa, credendo dire al compagno; fanno romore insieme; la donna, ravvedutasi, entra nel letto della figliuola e quindi con certe parole ogni cosa pacefica.
Calandrino, che altre volte la brigata aveva fatta ridere, similmente questa volta la fece; de’ fatti del quale poscia che le donne si tacquero, la reina impose a Panfilo che dicesse, il quale disse:
Laudevoli donne, il nome della Niccolosa amata da Calandrino m’ha nella memoria tornata una novella d’un’altra