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novella quinta 209

servigiale, e se ella vuol nulla; ha’mi bene inteso?— Disse Bruno: — Sí, lascia far me. — Venuta l’ora della cena, e costoro avendo lasciata opera e giú nella corte discesi, essendovi Filippo e la Niccolosa, alquanto in servigio di Calandrino ivi si posero a stare; dove Calandrino cominciò a guardare la Niccolosa ed a fare i piú nuovi atti del mondo, tali e tanti, che se ne sarebbe avveduto un cieco. Ella, d’altra parte, ogni cosa faceva per la quale credesse bene accenderlo, e secondo la ’nformazione avuta da Bruno, il miglior tempo del mondo prendendo de’ modi di Calandrino; Filippo con Buffalmacco e con gli altri faceva vista di ragionare e di non avvedersi di questo fatto. Ma pur dopo alquanto, con grandissima noia di Calandrino, si partirono; e venendosene verso Firenze, disse Bruno a Calandrino: — Ben ti dico che tu la fai struggere come ghiaccio al sole; per lo corpo di Dio, se tu ci rechi la ribeba tua e canti un poco con essa di quelle tue canzoni innamorate, tu la farai gittare a terra delle finestre per venire a te. — Disse Calandrino: — Párti, sozio? Párti che io la rechi? — Sí — rispose Bruno. A cui Calandrino disse: — Tu non mi credevi oggi, quando io il ti diceva; per certo, sozio, io m’avveggio che io so meglio che altro uomo far ciò che io voglio. Chi avrebbe saputo altri che io far cosí tosto innamorare una cosí fatta donna come è costei? A buona otta l’avrebber saputo far questi giovani di tromba marina, che tutto il dí vanno ingiú ed insú, ed in mille anni non saprebbero accozzare tre man di noccioli! Ora io vorrò che tu mi veggi un poco con la ribeba: vedrai bel giuoco! Ed intendi sanamente che io non son vecchio come io ti paio; ella se n’è bene accorta ella: ma altramenti ne la farò io accorgere se io le pongo la branca addosso, per lo verace corpo di Cristo, ché io le farò giuoco che ella mi verrá dietro come va la pazza al figliuolo. — Oh! — disse Bruno — tu la ti griferai: el mi par pur vederti morderle con cotesti tuoi denti fatti a bischeri quella sua bocca vermigliuzza e quelle sue gote che paion due rose, e poscia manicarlati tutta quanta. — Calandrino, udendo queste parole, gli pareva essere a’ fatti, ed andava cantando e saltando tanto lieto, che non capeva nel cuoio.