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12 | giornata sesta |
[IV]
Chichibio, cuoco di Currado Gianfigliazzi, con una presta parola a sua salute l’ira di Currado volge in riso e sé campa dalla mala ventura minacciatagli da Currado.
Tacevasi giá la Lauretta e da tutti era stata sommamente commendata la Nonna, quando la reina a Neifile impose che seguitasse; la qual disse:
Quantunque il pronto ingegno, amorose donne, spesso parole presti ed utili e belle, secondo gli accidenti, a’ dicitori, la fortuna ancora, alcuna volta aiutatrice de’ paurosi, sopra la lor lingua subitamente di quelle pone che mai, ad animo riposato, per lo dicitore si sarebber sapute trovare; il che io per la mia novella intendo di dimostrarvi.
Currado Gianfigliazzi, sí come ciascuna di voi ed udito e veduto puote avere, sempre della nostra cittá è stato notabile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo, continuamente in cani ed in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone avendo un dí presso a Peretola una gru ammazzata, trovandola grassa e giovane, quella mandò ad un suo buon cuoco il quale era chiamato Chichibio ed era viniziano, e sí gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e governassela bene. Chichibio, il quale, come nuovo bergolo era, cosí pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine a cuocerla cominciò. La quale essendo giá presso che cotta e grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina, e sentendo l’odor della gru e veggendola, pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia. Chichibio le rispose cantando, e disse: — Voi non l’avrí da mi, donna Brunetta, voi non l’avrí da mi. — Di che donna Brunetta essendo turbata, gli disse: — In fé di Dio, se tu non la mi dái, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia. — Ed in brieve le parole furon