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136 giornata ottava

l’amante suo, che giá in parte era contento, se n’andò a letto, e grandissima pezza stettero in festa ed in piacere, del misero scolare ridendosi e faccendosi beffe. Lo scolare, andando per la corte, sé esercitava per riscaldarsi, né aveva dove porsi a sedere né dove fuggire il sereno; e maladiceva la lunga dimora del fratel con la donna, e ciò che udiva, credeva che uscio fosse che per lui dalla donna s’aprisse: ma invano sperava. Essa infin vicino della mezzanotte col suo amante sollazzatasi, gli disse: — Che ti pare, anima mia, dello scolar nostro? Qual ti par maggiore, o il suo senno o l’amor che io gli porto? Faratti il freddo che io gli fo patire uscir del petto quello che per li miei motti vi t’entrò l’altrieri? — L’amante rispose: — Cuor del corpo mio, sí, assai conosco che cosí come tu se’ il mio bene ed il mio riposo ed il mio diletto e tutta la mia speranza, cosí sono io la tua. — Adunque, — diceva la donna — or mi bascia ben mille volte, a veder se tu di’ vero. — Per la qual cosa l’amante, abbracciandola stretta, non che mille, ma piú di centomilia la basciava; e poi che in cotale ragionamento stati furono alquanto, disse la donna: — Deh! levianci un poco ed andiamo a vedere se il fuoco è punto spento nel quale questo mio novello amante tutto il dí mi scrivea che ardeva. — E levati, alla finestretta usata n’andarono: e nella corte guardando, videro lo scolare far su per la neve una carola trita, al suono d’un batter di denti che egli faceva per troppo freddo, sí spessa e ratta, che mai simile veduta non aveano. Allora disse la donna: — Che dirai, speranza mia dolce? Párti che io sappia far gli uomini carolare senza suono di trombe o di cornamusa? — A cui l’amante ridendo rispose: — Diletto mio grande, sí. — Disse la donna: — Io voglio che noi andiamo infin giú all’uscio: tu ti starai cheto, ed io gli parlerò ed udirem quello che egli dirá, e per avventura n’avremo non men festa che noi abbiam di vederlo. — Ed aperta la camera chetamente, se ne scesero all’uscio, e quivi, senza aprir punto, la donna con voce sommessa, da un pertugetto che v’era, il chiamò. Lo scolare, udendosi chiamare, lodò Iddio, credendosi troppo bene entrar dentro, ed accostatosi all’uscio, disse: —