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124 giornata ottava

[V]

Tre giovani traggono le brache ad un giudice marchigiano in Firenze, mentre che egli, essendo al banco, teneva ragione.


Fatto aveva Emilia fine al suo ragionamento, essendo stata la vedova donna commendata da tutti, quando la reina, a Filostrato guardando, disse: — A te viene ora il dover dire. — Per la qual cosa egli prestamente rispose, sé essere apparecchiato, e cominciò:

Dilettose donne, il giovane che Elissa poco avanti nominò, cioè Maso del Saggio, mi fará lasciare stare una novella la quale io di dire intendeva, per dirne una di lui e d’alcuni suoi compagni, la quale ancora che disonesta non sia per ciò che vocaboli in essa s’usano che voi d’usar vi vergognate, nondimeno è ella tanto da ridere, che io la pur dirò.

Come voi tutte potete avere udito, nella nostra cittá vengono molto spesso rettori marchigiani, li quali generalmente sono uomini di povero cuore e di vita tanto strema e tanto misera, che altro non pare ogni lor fatto che una pidocchieria, e per questa loro innata miseria ed avarizia menan seco e giudici e notari che paiono uomini levati piú tosto dall’aratro o tratti dalla calzoleria che dalle scuole delle leggi. Ora, essendovene venuto uno per podestá, tra gli altri molti giudici che seco menò, ne menò uno il quale si facea chiamare messer Niccola da San Lepidio, il quale pareva piú tosto un magnano che altro a vedere: e fu posto costui tra gli altri giudici ad udire le quistion criminali. E come spesso avviene che, benché i cittadini non abbiano a fare cosa del mondo a palagio, pur talvolta vi vanno, avvenne che Maso del Saggio una mattina, cercando d’un suo amico, v’andò: e venutogli guardato lá dove questo messer Niccola sedeva, parendogli che fosse un nuovo uccellone, tutto il venne considerando. E come che egli, gli vedesse il vaio tutto affumicato in capo ed un pennaiuolo a cintola e piú lunga la gonnella che la guarnacca ed assai altre cose tutte strane