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novella terza 111

fatto di questa. — Il cherico se n’andò col tabarro e fece l’ambasciata al sere; a cui il prete ridendo disse: — Dira’le quando tu la vedrai che, se ella non ci presterá il mortaio, io non presterò a lei il pestello; vada l’un per l’altro. — Bentivegna si credeva che la moglie quelle parole dicesse perché egli l’aveva garrito, e non se ne curò: ma la Belcolore venne in iscrezio col sere e tennegli favella infino a vendemmia; poscia, avendola minacciata il prete di farnela andare in bocca del Lucifero maggiore, per bella paura entro la capanna, col mosto e con le castagne calde, si rappattumò con lui, e piú volte insieme fecer poi gozzoviglia: ed in iscambio delle cinque lire le fece il prete rincartare il cembal suo ed appiccovvi un sonagliuzzo, ed ella fu contenta.

[III]

Calandrino, Bruno e Buffalmacco giú per lo Mugnone vanno cercando di trovar l’elitropia, e Calandrino la si crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia ed egli turbato la batte, ed a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.


Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevan tanto riso, che ancora ridono, la reina ad Elissa commise che seguitasse; la quale, ancora ridendo, incominciò:

Io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrá fatto di farvi con una mia novelletta non men vera che piacevole tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua: ma io me ne ’ngegnerò.

Nella nostra cittá, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata abbondevole, fu, ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino, uom semplice e di nuovi costumi, il quale il piú del tempo con due altri dipintori usava chiamati l’un Bruno e l’altro Buffalmacco, uomini sollazzevoli molto, ma per altro avveduti e sagaci, li quali con Calandrino usavan per ciò che de’ modi suoi e della sua simplicitá sovente gran festa prendevano. Era similmente allora in Firenze un