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novella prima | 5 |
Gran mercé; non ci son vivuta invano io, no. — E se non fosse che la reina con un mal viso le ’mpose silenzio e comandone che piú parola né romor facesse se esser non volesse scopata, e lei e Tindaro mandò via, niuna altra cosa avrebbero avuta a fare in tutto quel giorno che attendere a lei. Li quali poi che partiti furono, la reina impose a Filomena che alle novelle desse principio; la quale lietamente cosí cominciò:
[I]
Un cavalier dice a madonna Oretta di portarla con una novella a cavallo, e mal compostamente dicendola, è da lei pregato che a piè la ponga.
Giovani donne, come ne’ lucidi sereni sono le stelle ornamento del cielo e nella primavera i fiori de’ verdi prati, e de’ colli i rivestiti albuscelli, cosí de’ laudevoli costumi e de’ ragionamenti belli sono i leggiadri motti; li quali, per ciò che brievi sono, tanto stanno meglio alle donne che agli uomini, quanto piú alle donne che agli uomini il molto parlar si disdice. È il vero che, qual si sia la cagione, o la malvagitá del nostro ingegno o inimicizia singulare che a’ nostri secoli sia portata da’ cieli, oggi poche o non niuna donna rimasa c’è la qual ne sappia ne’ tempi opportuni dire alcuno o, se detto l’è, intenderlo come si conviene: general vergogna di tutte noi. Ma per ciò che giá sopra questa materia assai da Pampinea fu detto, piú oltre non intendo di dirne: ma per farvi avvedere quanto abbiano in sé di bellezza a’ tempi detti, un cortese impor di silenzio fatto da una gentil donna ad un cavaliere mi piace di raccontarvi.
Sí come molte di voi o possono per veduta sapere o possono avere udito, egli non è ancora guari che nella nostra cittá fu una gentile e costumata donna e ben parlante, il cui valore non meritò che il suo nome si taccia. Fu adunque chiamata madonna Oretta, e fu moglie di messer Geri Spina; la quale per ventura, essendo in contado, come noi siamo, e da un