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novella quarta 47

[IV]

Un monaco, caduto in peccato degno di gravissima punizione, onestamente rimproverando al suo abate quella medesima colpa si libera dalla pena.


Giá si tacea Filomena dalla sua novella espedita, quando Dioneo, che appresso di lei sedeva, senza aspettare dalla reina altro comandamento, conoscendo giá per l’ordine cominciato che a lui toccava il dover dire, in cotal guisa cominciò a parlare:

Amorose donne, se io ho bene la ’ntenzione di tutte compresa, noi siamo qui per dovere a noi medesimi novellando piacere, e per ciò, solamente che contro a questo non si faccia, estimo a ciascuno dovere esser licito, e cosí ne disse la nostra reina, poco avanti, che fosse, quella novella dire che piú crede che possa dilettare; per che, avendo udito, per li buoni consigli di Giannotto di Civigní Abraam aver l’anima salvata e Melchisedech per lo suo senno avere le sue ricchezze dagli agguati del Saladino difese, senza riprensione attender da voi, intendo di raccontar brievemente con che cautela un monaco il suo corpo di gravissima pena liberasse.

Fu in Lunigiana, paese non molto da questo lontano, un monistero giá di santitá e di monaci piú copioso che oggi non è, nel quale, tra gli altri, era un monaco giovane, il vigore del quale né la freschezza, né i digiuni né le vigilie potevano macerare. Il quale per ventura, un giorno in sul mezzodí, quando gli altri monaci tutti dormivano, andandosi tutto solo da tórno alla sua chiesa, la quale in luogo assai solitario era, gli venne veduta una giovanetta assai bella, forse figliuola d’alcun de’ lavoratori della contrada, la quale andava per li campi certe erbe cogliendo: né prima veduta l’ebbe, che egli fieramente assalito fu dalla concupiscenza carnale. Per che, fattolesi piú presso, con lei entrò in parole e tanto andò d’una in altra, che egli si fu accordato con lei e seco nella sua cella ne la menò,