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novella nona 395

[IX]

Federigo degli Alberighi ama e non è amato, ed in cortesia spendendo, si consuma; e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro, dá a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la qual, ciò sappiendo, mutata d’animo, il prende per marito e fállo ricco.


Era giá di parlar ristata Filomena, quando la reina, avendo veduto che piú niuno a dover dire se non Dioneo, per lo suo privilegio, v’era rimaso, con lieto viso disse:

A me omai appartiene di ragionare: ed io, carissime donne, d’una novella simile in parte alla precedente il farò volentieri, non acciò solamente che conosciate quanto la vostra vaghezza possa ne’ cuor gentili, ma perché apprendiate d’essere voi medesime, dove si conviene, donatrici de’ vostri guiderdoni senza lasciarne sempre esser la fortuna guidatrice, la qual non discretamente, ma, come s’avviene, smoderatamente il piú delle volte dona.

Dovete adunque sapere che Coppo di Borghese Domenichi, il quale fu nella nostra cittá, e forse ancora è, uomo di grande e di reverenda autoritá ne’ dí nostri, e per costumi e per vertú molto piú che per nobiltá di sangue chiarissimo e degno d’eterna fama, ed essendo giá d’anni pieno, spesse volte delle cose passate co’ suoi vicini e con altri si dilettava di ragionare; la qual cosa egli meglio e con piú ordine e con maggior memoria ed ornato parlare che altro uom seppe fare: ed era usato di dire tra l’altre sue belle cose che in Firenze fu giá un giovane chiamato Federigo di messer Filippo Alberighi, in opera d’arme ed in cortesia pregiato sopra ogni altro donzel di Toscana. Il quale, sí come il piú de’ gentili uomini avviene, d’una gentil donna chiamata monna Giovanna s’innamorò, ne’ suoi tempi tenuta delle piú belle donne e delle piú leggiadre che in Firenze fossero; ed acciò che egli l’amor di lei acquistar potesse, giostrava, armeggiava, faceva feste e donava, ed il suo senza alcun ritegno spendeva: ma ella, non meno onesta che bella, niente di queste cose per lei fatte né di colui si curava che le faceva. Spendendo