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novella ottava 391

bellissimo tempo, ed egli entrato in pensiero della sua crudel donna, comandato a tutta la sua famiglia che solo il lasciassero, per piú poter pensare a suo piacere, piede innanzi piè se medesimo trasportò, pensando, infino nella pigneta. Ed essendo giá passata presso che la quinta ora del giorno, ed esso bene un mezzo miglio per la pigneta entrato, non ricordandosi di mangiare né d’altra cosa, subitamente gli parve udire un grandissimo pianto e guai altissimi messi da una donna; per che, rotto il suo dolce pensiero, alzò il capo per veder che fosse, e maravigliossi nella pigneta veggendosi: ed oltre a ciò, davanti guardandosi, vide venire per un boschetto assai folto d’albuscelli e di pruni, correndo verso il luogo dove egli era, una bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle frasche e da’ pruni, piagnendo e gridando forte mercé; ed oltre a questo, le vide a’ fianchi due grandi e fieri mastini, li quali duramente appresso correndole, spesse volte crudelmente dove la giugnevano la mordevano, e dietro a lei vide venire sopra un corsier nero un cavalier bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco in mano, lei di morte con parole spaventevoli e villane minacciando. Questa cosa ad una ora maraviglia e spavento gli mise nell'animo, ed ultimamente compassione della sventurata donna, dalla qual nacque disidèro di liberarla da sí fatta angoscia e morte, se el potesse. Ma senza arme trovandosi, ricorse a prendere un ramo d’albero in luogo di bastone e cominciò a farsi incontro a’ cani e contro al cavaliere. Ma il cavaliere che questo vide, gli gridò di lontano: — Nastagio, non t’impacciare, lascia fare a’ cani ed a me quello che questa malvagia femina ha meritato. — E cosí dicendo, i cani, presa forte la giovane ne’ fianchi, la fermarono, ed il cavaliere sopraggiunto smontò da cavallo; al quale Nastagio avvicinatosi, disse: — Io non so chi tu ti se’ che me cosí conosci, ma tanto ti dico, che gran viltá è d’un cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda ed averle i cani alle coste messí come se ella fosse una fiera salvatica; io per certo la difenderò quanto io potrò. — Il cavaliere allora disse: — Nastagio, io fui d’una medesima terra teco, ed eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido