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390 giornata quinta

degli Onesti, per la morte del padre di lui e d’un suo zio, senza stima rimase ricchissimo; il quale, sí come de’ giovani avviene, essendo senza moglie, s’innamorò d’una figliuola di messer Paolo Traversaro, giovane troppo piú nobile che esso non era, prendendo speranza con le sue opere di doverla trarre ad amar lui. Le quali, quantunque grandissime, belle e laudevoli fossero, non solamente non gli giovavano, anzi pareva che gli nocessero, tanto cruda e dura e salvatica gli si mostrava la giovanetta amata, forse per la sua singular bellezza o per la sua nobiltá sí altiera e disdegnosa divenuta, che né egli né cosa che gli piacesse, le piaceva, la qual cosa era tanto a Nastagio gravosa a comportare, che per dolore piú volte, dopo essersi doluto, gli venne in disidèro d’uccidersi; poi, pur tenendosene, molte volte si mise in cuore di doverla del tutto lasciare stare, o se potesse, d’averla in odio come ella aveva lui. Ma invano tal proponimento prendeva, per ciò che pareva che quanto piú la speranza mancava, tanto piú multiplicasse il suo amore. Perseverando adunque il giovane e nell’amare e nello spendere smisuratamente, parve a certi suoi amici e parenti che egli sé ed il suo avere parimente fosse per consumare; per la qual cosa piú volte il pregarono e consigliarono che si dovesse di Ravenna partire ed in alcuno altro luogo per alquanto tempo andare a dimorare, per ciò che, cosí faccendo, scemerebbe l’amore e le spese. Di questo consiglio piú volte fece beffe Nastagio: ma pure, essendo da loro sollecitato, non potendo tanto dir di no, disse di farlo, e fatto fare un grande apparecchiamento come se in Francia o in Ispagna o in alcuno altro luogo lontano andar volesse, montato a cavallo e da’ suoi molti amici accompagnato, di Ravenna uscí ed andossene ad un luogo fuor di Ravenna forse tre miglia, che si chiama Chiassi, e quivi fatti venir padiglioni e trabacche, disse a color che accompagnato l’aveano che starsi volea e che essi a Ravenna se ne tornassono. Attendatosi adunque quivi Nastagio, cominciò a fare la piú bella vita e la piú magnifica che mai si facesse, or questi ed or quegli altri invitando a cena ed a desinare, come usato s’era. Ora, avvenne che, venendo quasi all’entrata di maggio, essendo un