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344 | giornata quinta |
[I]
Cimone amando divien savio, ed Efigenia sua donna rapisce in mare; è messo in Rodi in prigione, onde Lisimaco il trae, e da capo con lui rapisce Efigenia e Cassandrea nelle lor nozze, fuggendosi con esse in Creti; e quindi, divenute lor mogli, con esse a casa loro son richiamati.
Molte novelle, dilettose donne, a dover dar principio a cosí lieta giornata come questa sará, per dovere essere da me raccontate mi si paran davanti; delle quali una piú nell’animo me ne piace, per ciò che per quella potrete comprendere non solamente il felice fine per lo quale a ragionare incominciamo, ma quanto sien sante, quanto poderose e di quanto ben piene le forze d’Amore, le quali molti, senza saper che si dicano, dannano e vituperano a gran torto; il che, se io non erro, per ciò che innamorate credo che siate, molto vi dovrá esser caro.
Adunque, sí come noi nell’antiche istorie de’ cipriani abbiam giá letto, nell’isola di Cipri fu un nobilissimo uomo il quale per nome fu chiamato Aristippo, oltre ad ogni altro paesano di tutte le temporali cose ricchissimo: e se d’una cosa sola non l’avesse la fortuna fatto dolente, piú che altro si potea contentare. E questo era, che egli, tra gli altri suoi figliuoli, n’aveva uno il quale di grandezza e di bellezza di corpo tutti gli altri giovani trapassava, ma quasi matto era e di perduta speranza, il cui vero nome era Galeso: ma per ciò che mai né per fatica di maestro né per lusinga o battitura del padre o ingegno d’alcuno altro gli s’era potuto metter nel capo né lettera né costume alcuno, anzi con la voce grossa e deforme e con modi piú convenienti a bestia che ad uomo, quasi per ischerno da tutti era chiamato Cimone, il che nella lor lingua sonava quanto nella nostra «bestione». La cui perduta vita il padre con gravissima noia portava; e giá essendosi ogni speranza a lui di lui fuggita, per non aver sempre davanti la cagione del suo dolore, gli comandò che alla villa n’andasse e quivi co’