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novella ottava 321

[VIII]

Girolamo ama la Salvestra; va costretto, a’ prieghi della madre, a Parigi; torna e truovala maritata; entrale di nascoso in casa e muorle allato, e portato in una chiesa, muore la Salvestra allato a lui.


Aveva la novella d’Emilia il fine suo, quando per comandamento del re Neifile cosí cominciò:

Alcuni, al mio giudicio, valorose donne, sono li quali piú che l’altre genti si credon sapere, e sanno meno: e per questo non solamente a’ consigli degli uomini, ma ancora contra la natura delle cose presummono d’opporre il senno loro; della quale presunzione giá grandissimi mali sono avvenuti ed alcun bene non se ne vide giá mai. E per ciò che tra l’altre naturali cose quella che meno riceve consiglio o operazione in contrario è amore, la cui natura è tale, che piú tosto per se medesimo consumar si può che per avvedimento alcun tôrre via, m’è venuto nell’animo di narrarvi una novella d’una donna la quale, mentre che ella cercò d’esser piú savia che a lei non s’apparteneva e che non era, ed ancor che non sostenea la cosa in che studiava mostrare il senno suo, credendo dello ’nnamorato cuor trarre amore il qual forse v’avevano messo le stelle, pervenne a cacciare ad una ora amore e l’anima del corpo al figliuolo.

Fu adunque nella nostra cittá, secondo che gli antichi raccontano, un grandissimo mercatante e ricco il cui nome fu Leonardo Sighieri, il quale d’una sua donna un figliuolo ebbe chiamato Girolamo, appresso la nativitá del quale, acconci i suoi fatti ordinatamente, passò di questa vita. I tutori del fanciullo insieme con la madre di lui bene e lealmente le sue cose guidarono. Il fanciullo, crescendo co’ fanciulli degli altri suoi vicini, piú che con alcuno altro della contrada con una fanciulla del tempo suo, figliuola d’un sarto, si dimesticò; e venendo piú crescendo l’etá, l’usanza si convertí in amore tanto e sí fiero, che Girolamo non sentiva ben se non tanto quanto costei vedeva: e certo ella non amava men lui che da lui amata